di Emiliano Morrone
Efficacia ed efficienza: le parole d’ordine dell’amministrazione nuova. Io, un cittadino qualunque, ho visitato gli stabilimenti della cartiera regionale, a Catanzaro. L’azienda è ben dislocata. Ha pure una grande filiale a Reggio Calabria. Serve a garantire la giusta distribuzione. La nostra carta è superiore a ogni altra. In Calabria, dopo tanti sforzi, siamo finalmente riusciti a confezionare un prodotto che nemmeno l’America, la Cina, l’India e la Bolivia. Ci siamo accorti che il turismo non bastava: le spiagge, il sole, il mare, i monti, la storia e i monumenti. Abbiamo capito, per tempo, che i parchi sono appena l’inizio di uno sviluppo da primati. Ci siamo persuasi: d’accordo coi progetti forestali, la pulizia delle pinete, la salvaguardia delle specie; insieme nell’accogliere gli spettacoli di poveri migranti ignoti, di tossici e diversi eccellenti. Siamo un esempio globale di tolleranza, integrazione e, si dice così, «marketing territoriale».
Guai a chi ci insulta e ricorda i baffoni e i sorrisi sdentati, le auto da Gatto nero, gatto bianco. Sì, perché noi abbiamo la carta e la nostra carta non ce l’ha nessuno. Non ci possono sfottere per i trasporti: i treni e i torpedoni che percorrono binari e mulattiere assolati, che fiancheggiano la costa o risalgono le serpentine tra i boschi. Quelle celebrate da Rumiz e dall’intrepido ex senatore Franco Covello, che ha portato il dop in tv, sulla locomotiva a vapore e altrove. Non ci possono sottovalutare, dopo la carta. Fino a ieri avrebbero potuto prenderci in giro per l’eccessiva manutenzione dell’autostrada – uno spreco, secondo i nordici aziendalisti. Avrebbero, magari, infierito sui tratti paesistici e paesaggistici della jonica, sugli autodromi senza tribune che arrivano al capoluogo, sulla stazione post-moderna di Cosenza, sulle case come chiese ai confini del Parco nazionale della Sila, sugli scarichi irradianti nei fondali del radioso magnogreco.
Oggi, con la carta, la musica è cambiata. Siamo noi, solo noi, a dettare legge. E leggi. Carta papirata d’altri tempi, gialla, ocra, sapientemente invecchiata, impreziosita dall’antica polvere, immacolata come il futuro. Carta da parati e parate, bollata, marchiata e firmata. Carta d’autore, vera espressione dell’irripetibile genio calabro. Carta strapazzata, segnata da nobile inchiostro regionale, incisa, stampata e fluttuante. Carta manifesta, decretata, regolata e sregolata. Neanche Rotella. Carta colorata, impacchettata, accantonata, pronta per viaggiare.
Che impresa, che azienda, per la carta! Ci lavorano in tanti, tantissimi. E c’è ancora posto per molti, moltissimi. E sono tutti cortesi, gentili, accoglienti, umani. Di varie etnie, una moltitudine di parlanti: chi arriva dalla valle, dal colle, dalla pólis, dall’agorà; chi ha lavorato da fattore, giudice, ottico, chimico, medico. Chi s’è laureato a stelle e strisce, chi porta l’esperienza e l’affidabilità tedesche. Chi non risponde più al telefono, intento a comporre sulla carta, a stupire, aumentare l’offerta. Chi ci colpisce per la tecnica, il particolare, la prospettiva. Chi apre origami, chiude scatole dentro scatole. Di carta. Chi sigla bozze, bozzetti, piani, disegni, appendici, progetti. Di carta. Chi fa i doppi turni, in sede e fuori. Tutti operativi e produttivi alla cartiera. Riunioni continue, aggiornamenti, pareri, consulenze: una macchina perfetta, altro che Ford! Chi arriva dall’Università, chi ci corre, chi sorride alla camera accesa; chi lacrima e spera per pupazzi di carta, solleva striscioni di carta, prova a non incartarsi e lo scartano. Chi mostra carteggi, scartabella, s’accartoccia, verifica le carte di carta della cartiera regionale.
Un patrimonio cartaceo da custodire, salvaguardare, presidiare. Poi, c’è chi organizza la carta in colonne cartose; chi la carta gli è sottratta, per produrre altra carta da vendere. E si fanno cartine, in cartiera.
Io consiglio a tutti di seguirne da vicino l’intero processo produttivo.
Sulla carta, e per la carta, la Calabria è una regione di carta.
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